BREVE STORIA DEL CLIMA SULLA TERRA

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di Simone Meini

Vivendo in un’epoca di trasformazione climatica radicale pensiamo sia utile proporre ai lettori una molto sommaria ricostruzione della storia del clima sulla Terra. Essendo noi per primi a digiuno o quasi di climatologia e di storia del clima, ci “appoggeremo” ad un interessantissimo e molto approfondito libro sull’argomento, di Antonello Provenzale, dal titolo “Coccodrilli al Polo Nord e ghiacci all’Equatore”. Dove non specificato è a questa pubblicazione che si fa riferimento.

Prima premessa: come è oramai assodato, ma come spesso si tende a non considerare, il clima cambia nel tempo, spesso anche molto e talvolta anche in un lasso di tempo non grande. Questa asserzione risulta oggi un’ovvietà, ma vista la difficoltà nel recentissimo passato (e ancora nel presente in alcuni casi), di far accettare il concetto di mutamenti climatici nel discorso pubblico, quasi possa esistere un clima statico, pensiamo sia utile ribadire che il mutamento è una caratteristica intrinseca dell’andamento climatico. Ergo la discussione sul fatto che il clima stia cambiando o meno, non ha alcun senso, l’unico argomento di discussione, non solo oggi ma sempre, è verso quale direzione stia mutando e perché.

Seconda premessa: parlando del clima sulla Terra abbiamo diviso la sua storia in una fase preumana e in una umana. Questa divisione non ha nessuna pretesa scientifica e non vuole in alcun modo sopravvalutare il fattore umano nella storia della Terra. Banalmente si vuole solo evidenziare quali siano state le condizioni climatiche sperimentate dall’uomo e quelle che non abbiamo ancora affrontato.

Un’ultima cosa prima di scrivere della storia del clima sulla Terra: cos’è il clima?

Con il termine “clima” si intende l’insieme delle condizioni medie atmosferiche (quindi ad esempio temperatura, umidità, vento, pressione, precipitazioni), calcolate in una certa area geografica (anche l’intero globo), per un periodo di tempo piuttosto lungo (solitamente trent’anni).[1] Va da sé che nel nostro caso visto l’enorme lasso di tempo preso in esame scriveremo di cicli climatici.

Il clima sulla Terra prima dell’Uomo

Facciamo partire la nostra storia dall’incontro/scontro, avvenuto tra i 4 miliardi e 500 milioni e i 4 miliardi di anni fa, tra la Terra e il planetoide (grande circa quanto Marte), dagli astronomi chiamato Theia. Durante questo scontro i due corpi celesti si fusero e la violenza dell’impatto proiettò un gigantesco frammento incandescente, che con il tempo si solidificò dando forma al satellite che chiamiamo Luna.

Nei milioni di anni successivi la superficie della Terra si raffreddò e nacque la crosta terrestre. I vulcani liberando enormi quantità di energia termica dalle viscere del pianeta rilasciarono gas e acqua che nel tempo andarono a formare l’atmosfera primordiale. Nuovi oceani di acqua liquida ricoprirono la superficie terrestre, l’atmosfera iniziò la sua lunga evoluzione chimica e la Terra si trasformò in un pianeta pronto a ospitare la vita. Era l’inizio dell’Archeano, il periodo che va da circa 4 a 2 miliardi di anni fa [Provenzale; 2021].

Nell’Archeano l’atmosfera era diversa da quella che conosciamo oggi. Niente ossigeno molecolare, nessuno strato di ozono che proteggesse dai raggi ultravioletti solari, ergo nessuna vita sulla terra ferma, vita unicellulare nelle acque marine [Trail; 2011] e un ecosistema basato perlopiù su metabolismo anaerobico (cioè sostenuto da reazioni chimiche che possono avvenire solo in assenza di ossigeno).

In questo mondo per noi “alieno”, dove l’ossigeno era un gas tossico letale per gli organismi anaerobici, intorno a 3 miliardi di anni fa fecero la loro comparsa i cianobatteri. Quest’ultimi, con un nuovo processo fotosintetico riuscivano a utilizzare l’anidride carbonica dell’atmosfera, l’acqua e la luce solare per generare energia, producendo come materiale di scarto ossigeno molecolare. Tre miliardi di anni fa l’ossigeno molecolare era pressoché assente nell’atmosfera e negli oceani della Terra. Oggi la concentrazione atmosferica dell’ossigeno è circa il 21% e gli oceani sono ossigenati fino a grandi profondità.

Una conseguenza di questa aumentata ossigenazione dell’atmosfera è stata l’aumentata concentrazione di ozono nella stratosfera. L’ozono viene infatti prodotto attraverso la <<foto-dissociazione>> delle molecole di ossigeno (O2, 2 atomi di ossigeno), a causa della luce solare. Gli atomi di ossigeno libero si combinano poi con altre sostanze, ma alcuni lo fanno invece con un’altra molecola di ossigeno biatomico, formando una nuova molecola con 3 atomi di ossigeno (O3): l’ozono.

L’ozono che si accumula nella stratosfera, gioca un ruolo cruciale per la vita sulla Terra: è in grado di assorbire i raggi ultravioletti in arrivo dal Sole, schermando in questo modo la superficie da una radiazione dannosa per la maggior parte degli organismi, che non potrebbero altrimenti sopravvivere sulla superficie del pianeta [Provenzale; 2021].

Fra la fine dell’Archeano (quasi due miliardi e mezzo di anni fa), e l’inizio dell’era Cambriana (circa 542 milioni di anni fa), si snodano i 2 miliardi di anni del Proterozoico.

Durante questo eone[1], la Terra è passata attraverso cambiamenti climatici sconvolgenti, alternando ere in cui i ghiacci coprivano quasi tutto il pianeta e epoche durante le quali il clima era temperato o addirittura caldo. Il primo episodio di glaciazione planetaria (Snowball Earth), è avvenuto all’inizio del Proterozoico, poco dopo che l’ossigeno aveva iniziato ad accumularsi nell’atmosfera, e a quanto pare proprio a causa di questo gas [S.M. Roscoe; 1968]. Anche in questo caso vediamo come l’accumularsi dell’ossigeno nell’atmosfera, in definitiva dovuto all’azione degli organismi fotosintetici, abbia generato cambiamenti irreversibili nel clima e nell’ambiente del “nostro” pianeta.

Come abbiamo detto però il Proterozoico fu un eone caratterizzato da grandi mutamenti climatici. Infatti, probabilmente a causa delle eruzioni vulcaniche al tempo molto più frequenti e potenti delle attuali, che fecero lentamente ma costantemente aumentare la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera, l’effetto serra aumentò fino a permettere la fusione degli scudi di ghiaccio e la fine della cosiddetta glaciazione Huroniana. Un po’ più di 2 miliardi di anni fa, dunque, la Terra uscì dalla morsa del ghiaccio e per i seguenti 2 miliardi di anni fu caratterizzata da un clima caldo, con una copertura di ghiacci minima o del tutto assente, e con sempre più ossigeno in atmosfera.

Alla fine del periodo di relativa stabilità climatica e assenza di ghiacci, un po’ più di 700 milioni di anni fa, la situazione climatica cambiò radicalmente. Da un mondo quasi tropicale, privo o quasi di ghiacci, stava per formarsi di nuovo un ambiente congelato. Per alcune decine di milioni di anni i ghiacci si spinsero quasi fino all’equatore.

Anche in questo caso, tra le ipotesi più attendibili per questa nuova glaciazione, c’è il ruolo dell’ossigeno e l’aumento della sua concentrazione in atmosfera. Poco prima di questa nuova Snowball Earth infatti la concentrazione atmosferica dell’ossigeno era cresciuta ulteriormente, forse a causa di uno sbilanciamento fra la produzione di ossigeno per fotosintesi e il suo consumo per decomposizione della materia organica. Se la presenza del metano (con l’anidride carbonica uno dei gas maggiormente responsabili dell’effetto serra), nel Proterozoico era ancora importante, seppur ridotta rispetto all’Archeano, l’aumento dell’ossigeno potrebbe averne fatto sparire le ultime tracce, riducendo rapidamente l’effetto serra e portando al raffreddamento dell’atmosfera terrestre [Provenzale; 2021].

Anche durante le condizioni estreme della glaciazione globale la vita sulla Terra non si estinse. Così alla fine dell’ultimo snowball earth, terminato grazie all’azione dei vulcani e alla loro immissione in atmosfera di un’enorme quantità di CO2, accumulatasi in decine di milioni di anni fino a concentrazioni anche molto più alte di quelle delle ere successive, la vita riprese a svilupparsi rigogliosamente sulla Terra.

Difatti le mutate condizioni atmosferiche, che potremmo definire tropicali, causarono temperature elevate, copiose piogge, sedimentazione rapida e conseguentemente lo sviluppo sui continenti di praterie e foreste. In generale subito dopo l’uscita dallo snowball, circa 635 milioni di anni fa, la vita sulla Terra conobbe uno sviluppo impetuoso, caratterizzato dall’evoluzione biologica di una gran quantità di nuovi organismi multicellulari, alcuni dei quali avrebbero dato origine alla nostra stessa specie.

Nei precedenti tre miliardi di anni la Vita sulla Terra infatti era stata soprattutto unicellulare. Poi,forse intorno a un miliardo di anni fa, fecero la loro comparsa gli eucarioti (organismi che hanno un nucleo separato dal resto della cellula). Alcuni di loro iniziarono a dar origine a esseri composti da più di una cellula: organismi multicellulari semplici come ad esempio le spugne che vivono ancor oggi nelle acque marine. Col tempo gli organismi multicellulari si divisero in due tipologie principali: i poriferi (le spugne) e un altro insieme che a sua volta diede origine agli cnidari (ad esempio le meduse) e agli organismi a simmetria bilaterale, chiamati Bilateria (la maggior parte degli animali, dai gamberetti ai cavalli). Intanto anche le alghe iniziavano a sviluppare forme alternative: dalle alghe rosse alle alghe verdi oggi dominanti nei mari e nelle acque dolci. Ciò che rese possibile lo sviluppo di forme di vita multicellulari sempre più complesse e di maggiori dimensioni, oltre allo scioglimento dei ghiacci dopo lo snowball, si ritiene fu ancora una volta l’aumentato livello di ossigeno presente in atmosfera, ossigeno necessario in grande quantità per un metabolismo animale complesso [Nursall; 1959].

Nella scala dei tempi geologici l’eone Proterozoico si concluse circa 542 milioni di anni fa, per lasciare il posto all’eone Fanerozoico, che continua tuttora. Il primo periodo geologico del Fanerozoico fu il Cambriano, che durò da 542 a 485 milioni di anni fa.In quel periodo si formarono tutte le strutture animali che si sarebbero diffuse nelle centinaia di milioni di anni a venire, ed evolute negli animali che sono ancora intorno a noi (la cosiddetta esplosione Cambriana).

Nei 500 milioni di anni che seguirono il movimento dei continenti spostati dalle correnti convettive del mantello generò nuove terre e nuove catene montuose che poi vennero erose e frammentate; il clima continuò nelle sue oscillazioni fra caldo e freddo, la vita conquistò le terre emerse grazie ai funghi che furono i primi organismi complessi a occupare le regioni continentali e che prepararono (letteralmente) il terreno per la colonizzazione di altri organismi complessi; alcune grandi catastrofi furono responsabili di estinzioni di massa seguite puntualmente da nuovi impeti evolutivi che ripopolarono la Terra di organismi sempre diversi; l’interazione tra vivente e non vivente giocò un ruolo sempre più rilevante e l’anidride carbonica continuò a essere uno dei grandi motori del clima planetario [Provenzale; 2021].

Nel periodo che va dall’inizio del Cambriano (circa 540 milioni di anni fa), all’inizio dell’Eocene (circa 55 milioni di anni fa), il clima fu mediamente più caldo dell’attuale, con scarsa presenza di ghiacci. Durante questo periodo la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera è stata il principale fattore di controllo del clima. Intorno a 400 milioni di anni fa le piante, evolutesi dalle alghe, iniziarono a colonizzare la terraferma. Questo evento rappresenta uno dei grandi spartiacque della storia del clima sulla Terra, difatti con esso cambiò l’albedo[2], il ciclo dell’acqua, la velocità di alterazione delle rocce, la quantità di anidride carbonica in atmosfera (che diminuì) e nel sottosuolo (che andò ad aumentare). Di nuovo, gli organismi viventi erano motori dei cambiamenti del clima.

Fino a circa 100 milioni di anni fa, mediamente (un mediamente che comprende circa 3 estinzioni di massa con andamenti climatici e condizioni di vita di volta in volta molto diversi), il clima era sostanzialmente temperato e fresco, andando poi verso un periodo caldo (e successivamente molto caldo), a partire dalla metà del cretaceo. Questo mondo che per semplificare e banalizzare potremmo definire il mondo dei dinosauri finì circa 66 milioni di anni fa, quando un asteroide di almeno 10 chilometri di diametro colpì la Terra. L’impatto lanciò in atmosfera enormi quantità di polveri, oscurando il cielo per anni e portando al crollo della fotosintesi e al collasso degli ecosistemi. Iniziò così l’ascesa dei mammiferi.

Il clima intanto continuava a riscaldarsi, per raggiungere un picco massimo intorno a circa 55-50 milioni di anni fa [Kennet, Stott; 1991], quando la Terra era sostanzialmente priva di copertura di ghiacci. Durante questo periodo la temperatura media sulla superficie della Terra era di circa 10 gradi più alta di quella attuale. Inoltre la differenza di temperatura fra equatore e poli era minore dell’attuale: se le temperature nelle zone tropicali ed equatoriali erano più alte di 4 o 5 gradi, per le alte latitudini il riscaldamento era superiore ai 10 /15 gradi, con punte di 20 gradi per alcune regioni continentali. Insomma un mondo caldissimo per i nostri parametri, dove la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera era molto maggiore di oggi (anche più di 1000 ppm, rispetto alle attuali più o meno 420), dove il ciclo dell’acqua era molto più violento di oggi e dove gli uragani si susseguivano con grande frequenza e intensità.

Dopo il culmine del periodo caldo di circa 50 milioni di anni fa il pianeta cominciò a raffreddarsi, la concentrazione di anidride carbonica diminuì fino ai livelli tipici del nostro mondo preindustriale, i ghiacci ricominciarono a formarsi ai poli e alle alte latitudini, il livello dei mari si abbassò, le piogge diminuirono, e si venne a creare un paesaggio sempre più simile all’attuale. Le foreste, presenti quasi ovunque nel clima più caldo e piovoso dell’Eocene, nel Cenozoico (la nostra era), vennero in molte zone sostituite da praterie e distese d’erba. Le savane si estesero e così anche i deserti. I cambiamenti della vegetazione portarono a cambiamenti evolutivi anche negli animali: fra gli erbivori diminuirono i <<brucatori>> come le capre e gli stambecchi, che si nutrono soprattutto di foglie, germogli e frutti di alberi e arbusti, e aumentarono i <<pascolatori>> come pecore, bisonti e cavalli, che vivono di erbe e prediligono gli spazi aperti; i predatori si adattarono a loro volta evolvendosi in esseri capaci di nascondersi fra le alte erbe e di scattare ad alta velocità sulla preda. L’evento geologico più importante del Cenozoico è stata la collisione della placca indiana con il continente asiatico, collisione che continua tutt’ora e che ha generato la più alta catena montuosa presente oggi sulla Terra e ha formato l’enorme plateau tibetano.

Questo raffreddamento, sempre oscillando tra periodi (lunghi anche centinaia di migliaia d’anni), più o meno caldi, continuò fino all’ultima era glaciale che data a un po’ meno di 3 milioni di anni fa. Quest’ultima era glaciale si presenta come un’epoca di clima oscillante in modo quasi regolare tra lunghi periodi glaciali intervallati da brevi periodi interglaciali più caldi e piovosi. É quello che in apertura abbiamo definito il clima umano, intendendo semplicemente che questo clima è stato realmente sperimentato da ominidi, infatti siamo ormai giunti al Pleistocene, l’epoca delle glaciazioni moderne e dell’evoluzione e diffusione degli ominidi, che porterà poi all’incirca 300.000 anni fa alla comparsa della nostra specie chiamata sapiens.

Il clima “umano”

Riguardo all’andamento climatico del Pleistocene si distinguono due macro-periodi. Il primo, terminato circa 1 milione di anni fa, caratterizzato da oscillazioni fra periodi glaciali e interglaciali più modeste e irregolari, con un periodo di circa 41.000 fra fasi calde e fasi fredde; il secondo, durato quasi fino ad ora, caratterizzato da fluttuazioni più ampie, da una diminuzione ulteriore della temperatura globale, da una periodicità delle fluttuazioni di circa 100.000 anni e da una forte asimmetria fra una lenta fase di crescita dei ghiacci, anche 70.000 o 80.000, e una fase di de-glaciazione e riscaldamento più rapida, con durata di una decina di migliaia di anni. Durante l’intero macro-periodo, caratterizzato da entrambe le tipologie di fluttuazioni glaciali, le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica furono sempre inferiori alle 400 ppm. Per trovare concentrazioni maggiori bisogna andare indietro di numerosi milioni di anni, o avanti fino ai nostri giorni.

Nel pieno dell’ultimo periodo glaciale, in particolare fra 60.000 e 20.000 anni fa, il clima è variato in modo brusco, manifestando forti instabilità che hanno messo a dura prova la sopravvivenza degli esseri umani. Esseri umani che nel frattempo si erano distribuiti in tutti i continenti, sviluppando il linguaggio, la musica, l’arte, visioni metafisiche e/o religiose, in un mondo per lo più freddo e arido.

Finito questo periodo di instabilità, circa 20.000 anni fa, durante il picco della glaciazione Wurmiana, cominciò l’ultima de-glaciazione che diede luogo ad un clima più mite. Siamo, in prospettiva geologica, oramai arrivati al mondo come lo conosciamo, o come lo conoscevamo. Infatti risalgono ad allora le caratteristiche più evidenti e meglio conservate dell’aspetto morfologico del mondo attuale. Prima della de-glaciazione per fare un solo esempio il livello del mare era di almeno 100 metri più basso rispetto a oggi, venivano così lasciate scoperte vaste regioni costiere, come per esempio nel caso del delta del Po, che si estendeva quasi fino a metà dell’Adriatico, o come l’Inghilterra che era collegata al continente europeo.

Intorno a 15.000 anni fa, mentre i ghiacciai montani e gli scudi glaciali erano in veloce ritirata, mentre enormi quantità di ghiaccio si fondevano, il livello dei mari saliva rapidamente (circa 80 metri in pochissime migliaia d’anni), enormi quantità di detriti si depositavano e mentre la morfologia delle coste mutava drasticamente, praticamente tutte le componenti climatiche si modificarono. Questo portò a massivi spostamenti di specie vegetali e animali che decretarono la fine di innumerevoli ecosistemi e la nascita di nuovi. In questo contesto caratterizzato dall’aumento costante delle temperature, fra poco meno di 13.000 e 11.700 anni fa, il clima tornò bruscamente verso condizioni glaciali durante il periodo che viene chiamato il <<Dryas recente>>. Terminato questo periodo la glaciazione era davvero terminata e con la sua fine cominciava l’Olocene, in quest’epoca l’umanità sviluppò l’agricoltura e l’allevamento, costruì le città, i regni e gli imperi, la scienza.

Difatti, con l’uscita dall’ultimo picco glaciale, iniziò un periodo più caldo e piovoso, di clima relativamente stabile, che portò, soprattutto nell’emisfero boreale, nel periodo compreso tra circa 9.000 e 5.000 anni fa, a quello che fu poi chiamato l’optimum climatico dell’ Olocene. Durante questo periodo le temperature globali erano più alte che nei millenni immediatamente precedenti e successivi. L’area dell’attuale deserto del Sahara era molto più piovosa rispetto ad oggi (il cosiddetto <<Sahara verde>>), vi erano laghi permanenti, numerosi insediamenti umani e una vegetazione ricca e diversificata. Questo periodo più caldo coincide all’incirca coll’inizio del Neolitico, per arrivare alle grandi città Sumere intorno a 6000 anni fa.

Entrando in tempi storici, ciò che emerge è una variabilità relativamente modesta, con un’alternanza fra periodi più caldi e altri più freschi, ma con scostamenti delle temperature medie globali che raramente superarono il mezzo grado, rispetto al periodo preindustriale. Per quanto riguarda gli ultimi 2.000 anni si riconoscono due fasi: una prima fase con temperature poco più basse di quelle attuali, mediamente in aumento fino ai primi secoli del secondo millennio d.c.; una seconda fase caratterizzata da una lenta decrescita delle temperature, che viene chiamata la <<Piccola era glaciale>>, caratterizzata in Europa da inverni freddi, umidi e lunghi, con estese gelate dei fiumi e delle lagune. Queste condizioni climatiche crearono enormi problemi alle popolazioni e le gelate distrussero spesso i raccolti, portando migliaia di persone a morire di fame.

Val la pena annotare, qui solo incidentalmente, che tra le cause proposte dai climatologi per spiegare la cosiddetta “piccola era glaciale” (tutte per ora solo ipotetiche), si sta facendo strada una teoria che vede nell’intervento umano, soprattutto in riferimento all’utilizzo del territorio e agli interventi sulla copertura vegetale (disboscamento), un fattore determinante o comunque non trascurabile. Insomma gli attuali mutamenti climatici non sarebbero i primi ad essere stati causati o concausati dall’uomo. In netta rottura con questo andamento, più o meno un secolo fa, a seguito della rivoluzione industriale ottocentesca, iniziò un rapidissimo riscaldamento (un aumento di un grado centigrado in un secolo), che perdura tutt’ora.  

Il clima della Terra dopo di noi

Innanzitutto un chiarimento…nel titolo del paragrafo con <<dopo di noi>> non si vuole in nessun modo far riferimento all’estinzione della razza umana. Essa è possibile (come per tutte le altre specie viventi), ed è anzi inevitabile (come per tutto ciò che ha un inizio), ma non possiamo dire in nessun modo che quest’esito sia scontato o anche solo più probabile a seguito degli attuali mutamenti climatici. Inoltre l’umanità ha superato (con difficoltà, ma con successo) innumerevoli periodi climatici sfavorevoli o disperati. Quel <<dopo di noi>> si riferisce invece alla nostra generazione e alle civiltà delle quali facciamo parte, poiché quel che invece sappiamo con certezza è che il clima terrestre verso il quale stiamo andando, sarà il risultato di fattori climatici e di processi climatici che l’uomo non ha mai sperimentato (per fare solo un esempio la concentrazione di Co2 in atmosfera oggi è intorno alle 420ppm, negli ultimi 800.000 anni non ha mai superato le 300ppm, per arrivare a concentrazioni paragonabili alle attuali bisogna risalire ad almeno 3 milioni di anni fa). Quindi il clima di domani non potrà forzatamente essere come quello di oggi ergo il mondo di domani non potrà forzatamente essere come quello di oggi.

Quindi fatta questa premessa vediamo quali siano i fattori climatici che andranno a creare il futuro andamento climatico terrestre. Innanzitutto, come abbiamo ormai imparato sulla “nostra stessa pelle”, dal punto di vista metereologico, si assisterà ad un aumento della siccità e ad un’estensione del periodo di assenza di pioggia, accompagnato da un aumentata concentrazione ed intensità delle precipitazioni nei periodi e nei luoghi ove avverranno. Questo è dovuto al fatto che un’atmosfera più calda è in grado di trattenere una maggior quantità di vapor d’acqua. Quindi, semplificando un po’ troppo, le precipitazioni saranno meno frequenti, ma più cariche di pioggia.

I mari saliranno e si riscalderanno, le temperature medie globali saliranno non sappiamo esattamente di quanto (si spera 1-2 °C, si ipotizza 3-4 °C), l’Artico sarà sempre più caldo e senza ghiaccio e l’Antartico se la passerà poco meglio o uguale; i ghiacciai saranno sempre meno, il permafrost si liquefaràsempre di più, le concentrazioni in atmosfera di Co2 e di altri gas serra continueranno nell’immediato a salire; le temperature e le condizioni climatiche sono e saranno (in questo momento sembrerebbe soprattutto in Nord America e nel Nord dell’Europa), particolarmente instabili e variabili nell’anno e di anno in anno, le correnti oceaniche e marine andranno rallentando e la ventosità aumentando, l’atmosfera sarà più umida e aumenteranno di numero e intensità i cicloni, anche extratropicali (ad esempio i Medicanes: i quasi-uragani mediterranei); si assiste già ora ad una perdita di biodiversità a livello mondiale, che andrà aumentando, accompagnata da una rottura di innumerevoli ecosistemi e dallo spostamento d’habitat di innumerevoli specie, aumenteranno probabilmente gli incendi in numero assoluto, così come la loro diffusione e l’estensione delle aree interessate.

Tutti questi sono dati e tendenze già in atto, potremmo dire rappresentino i punti fermi, i binari all’interno dei quali si dovrà muovere ogni tentativo di previsione climatica futura e qualunque ipotesi di intervento di mitigazione o di soluzione dei problemi causati dai mutamenti climatici. Ma come interagiranno fra loro e quale nuova tendenza climatica di lungo periodo creeranno è, con certezza e esattezza, impossibile prevederlo.

Conclusioni

A conclusione di un articolo che vuole essere squisitamente divulgativo e sul cui argomento non abbiamo, come già affermato, competenze specifiche, avanziamo però una proposta teorica dalla prospettiva che ci è propria e cioè dell’ecologia politica, vale a dire in che termini le conoscenze appena acquisite possono aiutarci in ambito politico?

Questa proposta la facciamo partendo dalla ricostruzione della storia del clima sulla Terra per come l’abbiamo qui riportata, e prendendo quindi atto dell’immenso ruolo del Vivente, da sempre, di influenzare il clima terrestre e, in “collaborazione” con fattori extraterrestri (sole, asteroidi, meteoriti, ecc…) e intra-terrestri (terremoti, vulcani, tettonica a zolle, ecc…), di costruirlo (vedi ad es. ossigenazione dei mari e dell’atmosfera, creazione fascia d’ozono, rimozione di gas serra, ecc…).

La proposta dunque riguarda il termine “climalterante”, termine col quale vengono spesso definite le sostanze emesse o i processi messi in moto dall’uomo e in grado di modificare sensibilmente una o più componenti climatiche, e la proposta è di cambiarlo con “climacostituente”. Difatti posto che ogni essere vivente in quanto tale e inevitabilmente produce emissioni e/o processi climalteranti, forse sarebbe meglio dire emissioni e/o processi clima-costituenti.

Fermiamoci un attimo su questo ribaltamento concettuale: se il termine “climalterante” tende a farci pensare al clima come qualcosa di dato, esterno e staccato da noi, concluso, immutabile o scarsamente mutevole, la conseguenza concettuale è un clima “da custodire”, ereditare, preservare, rispettare, non toccare, non mutare ecc…, tutte cose impossibili visto che il clima non è una realtà data e conclusa, ma è un continuo processo nel quale nessun giorno potrà mai essere identico al successivo, nel quale non è mai possibile cristallizzare la “situazione climatica” di un dato momento per utile o dannosa che sia per l’uomo, nel quale nessun essere vivente al mondo, anche dopo la sua morte ha mai potuto “non toccare”, non mutare l’atmosfera.

Se invece parliamo di emissioni e processi climacostituentiecco che il ruolo attivo, fondante, sostanziale (ovviamente non esclusivo), e appunto costituente del Vivente nella composizione fisico-chimica dell’atmosfera risulta da subito esplicito. 

Ecco che la responsabilità umana nell’andamento climatico globale risulta ovvia e non esclusiva (anche se in questo momento certamente e grandemente maggioritaria), scevra di colpo da toni moralistici, da tendenze fideiste, quanto catastrofiste, da miti dell’età dell’oro o dei bei tempi andati, da tendenze speciste (l’uomo come custode del creato fa il paio con l’uomo “virus”, distruttore di mondi, insomma buono o cattivo comunque altro dal resto del vivente), ecc… il clima ci riguarda come riguarda tutto il Vivente ed è anche da noi “costruito” assieme a tutto il resto del Vivente, sta a noi, se pensiamo abbia senso, tentare di collaborare col resto del Vivente per costruirci un clima nel quale sia possibile vivere, possibilmente bene.


[1] Unità di misura dei tempi geologici.

[2] L’albedo in climatologia è la frazione di radiazione solare riflessa dalla Terra, è uno dei fattori climatici più importanti per determinare il clima sulla Terra.


[1] https://www.ilclima.org/definizione-clima/

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