LE BASI ECOLOGICHE DELLA CRISI DEL ’29.

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L’ipotesi di questo articolo è che la crisi economica del ‘29 abbia avuto cause/basi ecologiche. Questa tesi, per molti non più così improponibile come in passato, non ci risulta essere ancora stata avanzata da alcun economista.

Partiamo dalla crisi del ’29 per come viene descritta dalla vulgata classica. La crisi del ’29 fu una crisi dell’economia degli U.S.A. con origine finanziaria e monetaria che, assumendo artificialmente le caratteristiche di una crisi di sovrapproduzione, causò altissimi livelli di disoccupazione e di conseguenza una crisi industriale ed economica che arrivò poi a tutti i livelli dell’economia americana. A causa del sistema creatosi intorno alle riparazioni di guerra tra nuovo e vecchio continente, questa crisi economica si diffuse quasi nell’intero pianeta eccetto che in Unione Sovietica e in pochi altri paesi.

Questa ricostruzione, senz’altro iper-semplificata, non si discosta da quella proposta praticamente da tutti i maggiori economisti dello scorso secolo: da Keynes1 a Galbraight2, dalla cosiddetta scuola austriaca a Friedman3, o a Fusfeld4. Seppur comunque grandi siano le differenze tra loro nell’individuare le strategie migliori per affrontare quella crisi.

C’è però un’opera letteraria che racconta la crisi del ’29 da tutt’altra prospettiva. Un’opera esemplare, un’opera simbolo degli anni trenta americani, come lo era stata “Il Grande Gatsby5per gli anni venti. L’opera in questione è il romanzo di John Steinbeck,“Furore6 . Vediamo in che termini viene descritta questa “crisi finanziaria e borsistica” partendo dall’incipit di questo romanzo:

Nella regione rossa e in parte della regione grigia dell’Oklahoma le ultime piogge erano state benigne, e non avevano lasciato profonde incisioni sulla faccia della terra, già tutta solcata di cicatrici.[…]Agli ultimi di maggio il cielo impallidì e perdette le nuvole che aveva ospitate per così lungo tempo al principio della primavera. Il sole prese a picchiare e continuò di giorno in giorno a picchiar sempre più sodo sul giovane granturco finché vide ingiallire gli orli di ogni singola baionetta verde.”7

E ancora:

E venne il giugno, e il sole diventò selvaggio; le strisce brune, sulle foglie del granturco, si estesero dagli orli fino a toccare le colonne vertebrali.[…]Il vento si fece ancor più impetuoso e guizzando di tra le pietre sollevava con violenza paglia e foglie morte e piccole zolle di terra, lasciando tracce al suo passaggio, al pari d’una nave tra i flutti.[…] Una notte il vento impazzò, zappò furiosamente la terra attorno alle radici del granturco, e il granturco si mise a lottare per difesa contro il vento agitando le sue foglie indebolite, ma nella lotta le radici risultarono denudate delle zolle di terra protettrice ed ogni pianta risultò inclinata nella direzione del vento.”8

Furore” non si apre quindi con la descrizione della borsa di Wall Street, odi una fabbrica di una grande città industriale, né trattando di economia o di finanza, bensì di agricoltura e di condizioni atmosferiche, climatiche. Questo può non stupire visto che il romanzo ha per protagonisti una famiglia di mezzadri dell’Oklahoma costretta ad abbandonare i propri terreni ormai desertificati per cimentarsi in un lungo viaggio della speranza verso la verde e lussureggiante California del tempo9.Non si può però ridurre a semplice espediente narrativo dell’autore questa attenzione alle condizioni agricole ed ecologiche dell’ Oklahoma per alcune ragioni.

La copertina dell’edizione italiana del romanzo “Furore”

La prima è che Steinbeck quando parla di agricoltura sa quel che dice: il padre commerciava granaglie nel suo ruolo di tesoriere della Contea di Monterey in California, egli stesso era nato in un mondo di agricoltori e quasi tutti i romanzi di Steinbeck parlano di famiglie di agricoltori. La seconda è che anche quando parla dei migranti dell’Oklahoma sa di cosa parla: Steinbeck infatti a metà degli anni ’30 ottenne l’incarico dal “San Francisco News” di intervistare e scrivere una serie di articoli (“The Harvest Gipsy”), proprio sulle condizioni di vita dei migranti trasferitisi dall’Oklahoma alla California.10 La terza è che, (e questo potrà stupire vista l’epoca in cui visse), anche quando parla di ecologia Steinbeck scrive a proposito. Diamone alcuni esempi:

Casy disse: <<Dovevi vedere com’era bello il granturco prima del vento. Sarebbe stato un grasso raccolto.>>.<<Tutti gli anni così,>> osservò Joad. <<Da quando mi ricordo io, tutti gli anni la stessa storia: un grasso raccolto in vista, ma non arriva mai. Il nonno diceva che la terra era buona nei primi cinque anni di lavorazione, prima che scomparisse del tutto la gramigna.>>”11

Ed ecco esposta in termini semplici la “legge dei rendimenti decrescenti12, intrinsecamente collegata al secondo principio della termodinamica13. È interessante notare che “leggere” i fenomeni economici partendo da queste semplici e incontestate leggi della natura viene considerato dagli economisti improprio, talora troppo astruso o al contrario semplificatorio. Non hanno di questi scrupoli gli agricoltori che da più o meno 10.000 anni dimostrano di tenerne conto in molteplici modi (rotazioni, consociazioni, allevamento, maggese, ecc…), e non ne hanno neanche gli scienziati di numerose discipline costrette a fare i conti con queste “leggi di natura”.

Un altro esempio:

Dietro le quinte del grande scenario della fruttificazione stanno uomini d’ingegno, di esperienza, di sapienza: uomini che sperimentano le sementi, migliorano senza posa la tecnica che mira ad ottenere un rendimento sempre maggiore delle piante, rinforzandone le radici per renderle atte a difendersi dai nemici insetti che a milioni brulicano nelle zolle. […] Tra i filari il contadino rovescia le zolle d’erba primaverile perché l’erba interrata ingrassi la terra, scava solchi per fare affiorare l’acqua e argina i solchetti perché la trattengano, e dagli argini estirpa le erbacce che potrebbero sottrarre l’acqua alle piante.[…]I coltivatori, i proprietari, osservano e calcolano. Il raccolto sembra promettente. E sono fieri, perché è la loro scienza che produce il raccolto. […]

Quel decrepito tralcio che campava abbarbicandosi ai gelsi e nutriva gli uccelli con gli acini striminziti, ecco che per virtù della loro scienza ha generato mille varietà d’uva[…]E continuano a lavorare, selezionando, innestando, modificando, forzando la terra a produrre come piace a loro.”14

Una sorta di trattato “romanzato” di agronomia…

Ricapitolando, Steinbeck scrisse Furore avendo ben chiara la situazione agricola degli Stati Uniti e mettendola al centro della lettura della crisi del ‘29. Sorgono tre domande: 1) La crisi agricola americana è antecedente o conseguente la crisi economica del ’29? 2) La crisi agricola americana fu la causa o quantomeno una delle maggiori concause della crisi del ‘29? 3)La crisi agricola fu una crisi ecologica?

  1. A questa domanda Steinbeck risponde che sì, la crisi agricola precede la crisi economica:

I latifondisti arrivavano sul posto, o più spesso i loro rappresentanti.[…]. Lo sapete anche voi che la terra è povera. Dio solo sa quanto lavoro e sudore ci avete sprecato su. […] Sapete anche voi cosa fa il cotone alla terra: la impoverisce, ne succhia tutto il sangue. […] Se solo ci fosse consentita la rotazione delle colture, si potrebbe infonderle sangue nuovo. Già, ma è troppo tardi. […] Se uno riesce a provvedere al suo sostentamento e a pagare le tasse, può conservarla, la terra, certo che può. […]Ma la mezzadria era un sistema che non funzionava più. Un uomo solo, sulla trattrice, ora sostituisce dodici, quattordici famiglie. Gli si dà un salario e si prende tutto il raccolto. Non c’è scampo. E’ doloroso, ma è così. […] Ma a furia di cotone la fate morire, la terra! Lo sappiamo, ma prima che muoia vogliamo tutto il cotone che può darci. Poi la venderemo. […] La terra non rende più al giorno d’oggi, a meno che se n’abbia duemila, cinquemila, diecimila acri, e la trattrice.”15

Come si può notare il problema del mezzadro è che la terra è impoverita, che il suo lavoro non rende, altrimenti potrebbe tenersi la terra che lavora, evitando di dover abbandonare la propria casa. E anche l’accorpamento degli appezzamenti in enormi proprietà e l’utilizzo della trattrice non sono dovuti alla innegabile brama dei grandi latifondisti, società, banche, di aumentare i propri profitti, bensì alla necessità di minimizzare le perdite, i costi di un’attività che non è più in grado di nutrire centinaia di famiglie, ma che può ancora fornire dividendi a patto di essere svolta da pochissimi salariati e da macchine che necessitano solo di petrolio a buon mercato e non del ben più prezioso e costoso cibo.

Ovviamente questa lettura va vagliata alla prova dei fatti. Un fatto in grado di avvalorare questa tesi potrebbe essere che durante i “ruggenti” anni ’20, caratterizzati da una crescita economica considerata dai contemporanei davvero prodigiosa, la produzione agricola del paese fosse in realtà in diminuzione.

E infatti “durante gli anni venti, negli Stati Uniti molti settori conobbero un notevole sviluppo, con l’eccezione dell’agricoltura che entrò in sofferenza per via degli alti prezzi e dell’aumento vertiginoso del valore della terra16 e degli altri fattori della produzione. Inoltre “le fattorie familiari che erano state ipotecate durante gli anni ‘20, per recuperare i soldi necessari “a tirare avanti in attesa di tempi migliori”, vennero espropriate quando i loro proprietari non riuscirono più ad adempiere ai pagamenti17.Aggiungiamo che anche in termini di produttività e non solo di produzione l’agricoltura fu caratterizzata da un costante calo durante tutti gli anni venti.18

  1. La condizione di precedenza di un fenomeno su un altro è condizione necessaria ma non sufficiente a stabilirne la causalità su quest’ultimo. Quindi intanto possiamo già escludere che la crisi agricola fu causata da quella economico-finanziaria. Per asserire invece che la crisi agricola fu la causa o comunque fu alla base di quella economico-finanziaria bisognerebbe dimostrarne la sua inscindibile e fondante connessione con gli altri settori dell’economia americana e con il suo sistema creditizio-finanziario.

Per semplificare e riassumere il più possibile bisogna quindi stabilire in quanta parte erano legate all’agricoltura: le esportazioni, i consumi interni, il credito e i titoli borsistici americani.

Riguardo alle esportazioni è quasi superfluo ricordare che gli stati uniti del tempo erano il paese esportatore per antonomasia e che proprio le esportazioni avevano reso nell’800 gli Stati Uniti d’America una potenza economica e commerciale a livello mondiale. E cosa esportavano gli U.S.A all’inizio del XX sec.? Esportavano cotone (il prodotto maggiormente esportato)19,frumento e farine, granturco (nel ’29 il 59% del mais mondiale era prodotto negli U.S.A)20, tabacco, legname e pasta di legno, minerali non metallici, carbone, ferro, acciaio, rame, petrolio e derivati, carni e conserve di carni, grassi animali, filati e tessuti, macchine industriali e agricole, automobili.21

Di questi prodotti d’esportazione quelli immediatamente riconducibili al settore agricolo e dell’allevamento sono più o meno la metà. Rimangono fuori da questa lista: legname e pasta di legno, minerali non metallici, carbone, ferro, acciaio, rame, petrolio, filati e tessuti, macchine industriali e agricole, automobili.

Riguardo al legname e alla pasta di legno il legame con l’agricoltura è strettissimo essendo la silvicoltura una delle branche dell’agricoltura, ma soprattutto essendo che la stragrande parte dei terreni coltivati in America era in origine ricoperta di boschi e quindi il disboscamento perpetuato dal XVII al XIX sec. e il conseguente commercio di legname non rappresentarono altro che la premessa del modello agricolo americano.

Stesso discorso è possibile fare in riferimento al carbone, ma, e questo è meno ovvio, anche nel caso del ferro, del rame e dell’acciaio. Difatti “i minerali metallici estratti in America non provenivano da grandi depositi e non erano tutti di alta qualità; tuttavia, le enormi foreste fornivano sufficiente legno per produrre il carbone22 necessario alla fusione di questi minerali e alla creazione di leghe e lingotti.

Quindi in definitiva le merci esportate dagli USA non legate all’agricoltura in maniera diretta o indiretta si riducono ai minerali non metallici, al petrolio, alle macchine non agricole e alle automobili. Cioè merci legate all’attività estrattiva e alla industria ad essa relativa. Di fatto le esportazioni americane si basavano totalmente sulla deforestazione e sulconsumo di suolo.

Stesso discorso si può fare per i consumi interni in quanto queste erano anche le merci maggiormente commerciate e utilizzate sul suolo statunitense. Infatti considerando che dalle sue origini e fino agli anni ‘20 del novecento gli U.S.A. furono un paese fondamentalmente agricolo23 e che fino al biennio 1920-1921 le importazioni in questo settore furono assolutamente trascurabili, la crisi agricola degli anni ‘20 fu un colpo drammatico per i consumi interni. A differenza delle esportazioni però i consumi interni non vanno solo considerati in termini di valore di scambio, ma anche e soprattutto in termini di valore d’uso, di sussistenza. Le famiglie di coloni e di mezzadri infatti vivevano di fatto di un’economia di sussistenza, bastandosi per la soddisfazione dei bisogni primari quali l’abitazione (costruita nel maggiore dei casi con le proprie mani o con l’aiuto di altri mezzadri) e l’alimentazione (grazie ad orti familiari, all’allevamento, e in misura minore alla caccia e alla pesca), affidandosi al mercato e al credito soltanto per comprare la semenza e le attrezzature per la coltivazione e per rivendere il prodotto.

Nel caso di una vendita vantaggiosa la famiglia di mezzadri poteva permettersi qualche bene sul mercato o un qualche risparmio privato, nel caso di una vendita svantaggiosa si accollava un debito impossibile da ripagare. Questo debito era però “sostenibile” in quanto la loro sussistenza era in poca parte legata al denaro e quindi quel debito rimaneva per così dire ipotetico, divenendo reale solo in fase di trattativa per il prezzo della semenza o per la richiesta di credito, in un circolo vizioso che indebitava ancor di più tale famiglia. Il sistema resse finché, a causa di questo debito cresciuto negli anni e della concorrenza di prodotti di importazione più economici a seguito della prima guerra mondiale24,i mezzadri non furono espropriati dai “loro” terreni. In quel momento la scarsissima liquidità di questi agricoltori lì rese incapaci di acquistare sul mercato i beni necessari alla propria sussistenza, rendendoli non più semplicemente insolventi, ma poveri. La massa di poveri che riempì le strade americane durante la depressione degli anni ’30 era composta in larga parte da queste persone.

Per quello che a prima vista potrebbe apparire un paradosso i legami tra agricoltura e mondo della borsa e della finanza sono ancora più evidenti ed espliciti. Probabilmente quasi tutti i lettori conosceranno l’istituzione bancaria “Lehman Brothers”, il cui fallimento diede inizio alla crisi economica globale del 2008-2009, molto probabilmente in pochi conoscono la sua storia.

La storia della Lehman Brothers inizia l’11 settembre del 1844 con l’arrivo a New York di Herry Lehman25,immigrato dalla Baviera a seguito di alcune cattive annate nel settore agricolo che avevano depresso i mercati delle due merci da cui dipendevano i guadagni della famiglia Lehman: bestiame e vino26. Il viaggio l’aveva compiuto nella stiva del veliero Burgundy, veliero che portava nel vecchio mondo cotone, tabacco e altri prodotti e ripartiva per il nuovo con beni di lusso e immigrati.27

Subito dopo il suo arrivo Henry Lehman si trasferì in Alabama attirato dalla linfa vitale dell’America28: il cotone. E come lui lo fecero anche tanti altri, spinti da quella che al tempo fu chiamata la “febbre dell’Alabama” e che colpì tutti gli stati del sud.29 Chi viveva in altre regioni meridionali infatti – specie il Kentucky e la Carolina del Nord e del Sud – aveva visto le proprie terre impoverirsi progressivamente e si era trovato così a subire il fascino del ricco suolo dell’Alabama.30Qui Henry si mise a fare quello che la sua famiglia faceva da generazioni, cioè commerciare.

A questo punto apriamo una piccola parentesi. Quando diciamo commerciare noi pensiamo automaticamente ad uno scambio denaro-merce (un negozio per esempio) o denaro-denaro (una banca per esempio), mai ad uno scambio merce-merce che è esattamente il senso originario della parola “commerciare”. Quindi potrebbe forse stupire che:

“…nel periodo in cui Henry mise in piedi il suo negozio, tuttavia, non c’era molta fiducia nel denaro. I contanti erano visti come un mito: erano solo inutili pezzi di metallo o di carta, se nessuno credeva nella loro funzione. […] Henry Lehman, quindi, si era presentato come un amico degli agricoltori. Di tanto in tanto, dava loro le proprie merci in cambio di denaro, ma soprattutto in cambio dei beni che quei produttori avevano da offrire. […] I contadini capivano che si trattava di un equo scambio in natura e lo pagavano con il cotone.”31

Questo modello di commercio fece rapidamente aumentare le scorte di cotone dell’emporio Lehman, proprio mentre ad “aumentare rapidamente era stata anche la richiesta dell’ ‘oro bianco’ da parte degli stabilimenti industriali del Nord-Est del Paese e dell’Europa.”32

Per gestire l’aumentata mole di affari lo raggiunsero dall’Europa i suoi due fratelli e i tre fondarono nel 1850 la “Lehman Brothers”33, una società di intermediazione tra venditori (agricoltori) e compratori (esportatori e industriali), nel commercio del cotone e dei suoi derivati nella città di Montgomery che, stando alle parole di un viaggiatore dell’epoca, era abitata da gente che pensava, mangiava, beveva e sognava solo e soltanto il cotone.34

Sempre seguendo la rotta del cotone la “Lehman Brothers” arrivò a New York per trattare direttamente con gli esportatori e i proprietari delle industrie tessili e per controllare da vicino i propri conti nelle banche newyorchesi e qui vi rimase. A questo punto però, a seguito della guerra di secessione e della sconfitta degli stati del sud che aveva causato la devastazione dell’Alabama e il crollo della produzione e della vendita di cotone, la Lehman Brothers era diventata una banca incaricata dallo stato dell’Alabama di risollevare le sorti di questo stato oramai fallito. Questa banca non riuscì nel suo intento, ma da quel momento le sorti della Lehman Brothers sarebbero state legate sempre meno al cotone e sempre più al denaro, al credito e al debito.35

Nel 1868 infatti la Lehman Brothers fece il suo ingresso da protagonista nel mondo della finanza Americana. Nel 1870 si deve a Mayer infatti (insieme ad altri 130 mercanti di cotone), l’istituzione della prima borsa del cotone di New York.36

In questa borsa si realizzava già un mercato dei futures in quanto gli operatori compravano e vendevano prima che il cotone fosse pronto nei campi o che servisse nelle fabbriche. […] La borsa del cotone era il primo mercato del genere per le così dette “materie prime” ad avere sede a New York. […] Gli operatori vendevano i contratti, non il cotone vero e proprio; vendevano il diritto di comprare quel prodotto, anziché il prodotto stesso. Tale contratto, quindi, era una prima forma di derivato: era un investimento che stava un passo indietro rispetto al cotone e non era direttamente correlato alla merce.”37

A New York la Lehman Brothers non commerciava solamente cotone, infatti “dopo quello cotoniero, a New York vennero aperti altri mercati di scambio per il formaggio, il burro e le uova. All’inizio degli anni Ottanta dell’Ottocento, la Lehman Brothers entrò a far parte della Borsa del caffè. […]La Lehman Brothers partecipò anche ad altri mercati, come quello dello zucchero e, nel 1884, alla nuova borsa petrolifera.38

Come possiamo vedere i prodotti commerciati nelle borse di New York in quegli anni non erano tanto prodotti finanziari, industriali o tecnologici, ma per la maggior parte prodotti agricoli. E a spostare l’attenzione degli investitori verso il mercato industriale non furono fattori quali la produttività, i tassi di interesse, o l’efficienza; bensì l’apertura del Canale di Suez nel 1869, che rese il cotone Indiano molto più conveniente di prima per il mercato Europeo e Occidentale e quindi più competitivo nei confronti del cotone Americano.39 Questo fatto, associato al calo della produzione di cotone in America causato dalla diminuita produttività dei terreni, dall’aumento del costo degli stessi a causa delle speculazioni legate alla ferrovia e dalle distruzioni causate dalla guerra di secessione, convinse la Lehman Brothers ad “estendere le sue attività da un business basato sull’agricoltura ad altri settori legati all’industria.”40 Sia ben inteso l’industria di cui parliamo non è certo l’industria automobilistica (ben al di là da venire), né quella definita industria pesante (ancora marginale per l’economia americana del tempo). Ancora una volta stiamo parlando per la maggior parte di lavorazione industriale di prodotti agricoli: tessuti e filati di cotone, conserve di frutta e verdure, carne in scatola, prodotti derivati del mais, ecc… .

Altra parentesi: si potrebbe essere portati a pensare che questo tipo di produzione industriale rappresentasse una sorta di arretratezza industriale dell’America o una sua peculiarità (entrambe le cose in parte vere), di certo un retaggio del passato destinato a essere superato dall’industria del novecento negli U.S.A. e nel mondo. E invece ancora oggi:

una miriade di prodotti vengono ricavati dalle molecole del chicco, della buccia e del midollo del mais…alcuni esempi: i dolcificanti e gli zuccheri che troviamo in tutte le bibite gassate; amidi addensanti per creme, salse, gelati; colle e vernici; malto, destrine; conservanti; buste per la spesa; plastiche; coloranti; etanolo e carburanti; ecc….le possibilità sono infinite. La grandissima varietà di prodotti e di colori che riempiono le corsie dei nostri supermercati deriva in realtà da una sola materia prima: il mais41

La ricostruzione della storia della Lehman Brothers potrebbe durare a lungo, tutte le fasi e le innovazioni principali dell’economia del novecento in America e quindi nel mondo la videro protagonista: dal proibizionismo42, alla crisi di Wall Street del ’29; dal lancio della iconica Campbell’ Soup (ancora cibo in scatola)43,all’invasionedella Baia dei Porci a Cuba nel 1961 (per ripristinare i bananeti della United Fruit, espropriati da Fidel castro a seguito della rivoluzione Cubana)44; dalla creazione della Pan American Airways45, alla crisi dei mutui sub prime nel 200846. Ma riteniamo di aver già dato elementi bastanti per chiarire il legame per così dire “non del tutto accessorio” tra agricoltura e finanza.

  1. Veniamo alla terza questione: è stata la crisi economica del ’29 una crisi ecologica?

Prima di tutto bisogna chiarire il fatto che non si ritiene che ogni crisi economica sia in realtà una crisi ecologica, né che ogni crisi ecologica sia per forza una crisi agricola o viceversa: crisi economiche di “sovrapproduzione” possono facilmente non avere cause ecologiche, (benché un modello economico “sovrapproduttivo” porterà forzatamente ad una crisi ecologica);crisi borsistiche come ad esempio quella del “Panico del 1907”47non ebbero cause ecologiche; la crisi economica attuale, conseguente alla diffusione del virus Covid-19, è certamente una crisi ecologica, ma non specificatamente una crisi agricola; una crisi agricola può anche dipendere da fattori non ecologici (anche se ovviamente non può mai prescinderne), come nel caso dell’apertura del canale di Suez citato in precedenza. Riteniamo però che una crisi ecologica ha sempre un impatto economico.

La crisi del ’29 fu, per chi scrive, una crisi ecologica perché non fu una crisi di sovrapproduzione, cioè una crisi causata da un aumento della produttività e/o della produzione e quindi da un aumento dello stock di merce non equilibrato all’effettiva domanda o capacità del sistema economico. Difatti come abbiamo già detto lungo tutto l’arco degli anni ’20 la produttività del sistema economico americano diminuì piuttosto che aumentare.

E non fu prettamente una crisi finanziario-borsistica perché fu molto di più, fu una depressione economica e una tragedia sociale durata per molti fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale. Di “black days” della borsa ce ne erano già stati e ce ne sarebbero stati altri da li in poi. Molti sono stati dimenticati, altri han segnato un epoca. La differenza non dipende dall’entità del crack di un giorno, ma dalla capacità del sistema economico di ripartire e di ricostruire un tessuto economico. La crisi della Borsa di Wall Street divenne crisi economica e sociale quando raggiunse e aggredì l’economia reale attraverso la quale il mondo della finanza socializzava il proprio debito,(anche ecologico). Ma la crisi finanziaria fu il sintomo, non la “malattia”. La gente non finiva soltanto disoccupata, moriva di fame.

La lista di cosa questa crisi non fu potrebbe essere ancora lunga, proviamo a dire cosa fu. La crisi del ’29 fu per chi scrive una crisi ecologica da sovrasfruttamento.

Parliamo di crisi da sovrasfruttamento in quanto tutta la fortuna commerciale e la grandezza sullo scenario internazionale acquisita dagli U.S.A nel XIX sec., si fondava in definitiva sul consumo di suolo e sulla deforestazione finalizzati alla produzione di energia, alla cantieristica navale, all’agricoltura e all’allevamento estensivi. Insomma la ricchezza ottocentesca degli U.S.A poggiava su quello che oggi chiamiamo estrattivismo. Cioè un modello produttivo teso a sfruttare l’ambiente e l’uomo in maniera sregolata e insostenibile. Riguardo allo sfruttamento dell’uomo non possiamo certo dimenticare i fattori più importanti del “successo” americano: lo sterminio e l’espropriazione delle loro terre operato ai danni degli Indiani d’America, e gli schiavi deportati dall’Africa e i loro discendenti. Riguardo allo sfruttamento dell’ambiente il primo fattore di debolezza, dal punto di vista ecologico, del sistema economico americano fu senza dubbio il tipo di agricoltura e di allevamento utilizzato. L’agricoltura estensiva a monocultura quanto l’allevamento estensivo, sebbene evitino alcune ricadute negative dell’agricoltura e dell’allevamento intensivi, sono alla lunga insostenibili perché impoveriscono sempre più il terreno dove si situano e poiché a causa dell’omogeneità delle specie coltivate sono facilmente attaccabili e decimabili da parassiti, malattie, condizioni climatiche avverse, ecc… A queste problematiche si sarebbe, anche se solo in piccola parte, potuto ovviare aumentando la biodiversità del territorio, lasciando “riposare i terreni”, reintegrando l’azoto attraverso colture specifiche, lavorando sulla creazione di sistemi agricoli integrati, ecc… Ma qualunque tipo di pratiche fossero state messe “in campo” sarebbero andate a cozzare in un modo o nell’altro contro la massimizzazione del profitto e la spinta al consumo illimitato propri del capitalismo americano. La “soluzione accettabile” all’interno di quel sistema economico venne a seguito della seconda guerra mondiale con la “rivoluzione verde” e il suo corollario di fertilizzanti chimici, fitofarmaci, diserbanti, pesticidi, ecc…

Tornando però al periodo preso in esame vediamo che dimensioni ebbe la deforestazione del nuovo mondo: prima dell’arrivo degli Europei, circa la metà della superficie degli Stati Uniti era bosco, con circa 1023 milioni di acri (4.140.000 km²) stimati nel 163048. Negli anni ’20 del novecento si raggiunse il livello minimo di forestazione mai raggiunto dal paese con soli 721.000.000 acri (2.920.000 Km²) e con la scomparsa quasi totale delle foreste vergini.49Come oggi sappiamo:

le foreste sono un bene inestimabile[…]. Offrono ossigeno assorbendo Co2, stabilizzano il clima, favoriscono le piogge, offrono acqua dolce reintegrando le falde acquifere, frenano il vento e l’erosione del suolo, forniscono alimenti e sono una riserva di medicine naturali e di risorse rinnovabili, attorno alle quali si creano posti di lavoro.”50

La loro assenza, scarsità e/o fragilità rende quindi il clima più instabile e siccitoso, la terra arida e sabbiosa, i fenomeni atmosferici estremi più imprevedibili e distruttivi, i territori meno ricchi e meno fertili, i luoghi inospitali, le comunità più povere.

Per fare un solo esempio che sia però lampante e macroscopico basti pensare alla distruttività di un tornado e ai danni che può arrecare all’economia di un territorio. Ebbene il 75% di tutti i tornado della Terra colpisce il Nord America. In particolare quella che i media hanno ribattezzato “Tornado Alley”, una macroregione centro e sud orientale degli Stati Uniti.51Perché avvengono proprio in quest’area? La causa è da ricercarsi nello scontro tra l’aria calda e umida (sub tropicale) che sale dal golfo del Messico e l’aria fredda e secca (d’estrazione artica continentale) che dal Canada centrale scivola verso sud.52 Ovviamente le foreste che ricoprivano il suolo americano, soprattutto nella parte orientale del paese, impedivano o comunque mitigavano l’incontro di queste due correnti d’aria. Infatti negli ultimi cinquant’anni i tornado sono all’incirca raddoppiati53 e sono certamente aumentati negli ultimi secoli anche se mancano stime precise per il passato. Eventi estremi come tornado e uragani hanno ricadute economiche che sono state calcolate raggiungere anche l’1% di P.I.L. per evento, una perdita economica enorme.

Nel lungo periodo tra il XVII e il XX sec., durante il quale le foreste del nuovo mondo furono ridotte dell’80%queste conoscenze non erano diffuse ne sistematizzate, di sicuro non lo erano tra i coloni e gli immigrati poveri che fecero l’America. E comunque probabilmente non sarebbero bastate queste conoscenze a mutare i loro comportamenti, visto che a tutt’ora la deforestazione a livello mondiale è in forte aumento come del resto i suoi costi sociali che sono sotto gli occhi di tutti.

Conclusioni

Per concludere possiamo parlare di tre ragioni per aver proposto questa ri-lettura della crisi economica del ’29.

Per capire e conoscere meglio un fatto storico che segna ancora profondamente il nostro tempo e per trarne insegnamento per affrontare l’attuale crisi ecologica (1); per mettere alla prova le riflessioni, le proposte economiche e politiche dell’eco-marxista James O’Connor54, secondo il quale una crisi ecologica è causa di crisi economica e sociale e anzi ne costituisce spesso l’altra faccia della medaglia (2); per proporre, alla luce di questa differente narrazione della grande depressione, la ri-scoperta e la ri-valutazione della figura, del lavoro e delle idee dell’ecologo e biologo marino Ed Rickets (3).

Partendo dal primo punto riteniamo infatti di aver fornito una spiegazione di questa crisi più razionale e rispondente al vero di quelle monetaristiche o borsistiche, che permette di inserire in una logica d’insieme gli accadimenti che risultarono invece imprevedibili e scollegati per gli analisti e gli operatori economici del tempo, e inspiegabili o comunque contraddittori per gli storici e gli economisti delle epoche successive.

Per fare un solo esempio: sebbene come abbiamo detto la grande depressione durò fino alla seconda guerra mondiale, tutti gli storici sono assolutamente concordi nell’attribuire un ruolo fondamentale al new deal Roosveltiano nell’affrontare la depressione degli anni ’30, nel porre le basi per il suo superamento e nel rivoluzionare il modello economico americano.

Vediamo quali furono le misure più importanti di questo nuovo patto55: furono stanziati 500 milioni di dollari per finanziare lavori pubblici come la costruzione, manutenzione e messa in sicurezza di strade, scuole, parchi, campi da gioco, ecc…56; fu istituito il Civilian Conservation Corps che assoldò oltre tre milioni di lavoratori per curare la manutenzione e la conservazione delle risorse naturali e che in nove anni di attività piantò oltre tre miliardi di alberi, migliorò le condizioni dei parchi nazionali e contribuì a spegnere numerosi incendi boschivi57; fu sancita l’abrogazione del proibizionismo che comportò un aumento delle entrate comunali e federali e comportò la creazione di nuovi posti di lavoro58;fu emendato il National Industrial Recovery Act che garantiva la protezione dei sindacati e la concorrenza leale fra imprese, che regolava il prezzo di alcuni beni di prima necessità e che permise l’istituzione del Public Works Administration , un’agenzia federale impegnata a costruire grandi opere pubbliche come dighe, scuole, ospedali, case popolari, ecc..59; fu emendato l’Agricoltural Adjustment Act che sovvenzionava gli agricoltori che decidevano di ridurre la propria produzione e gli allevatori che eliminavano l’eccesso di bestiame; fu intrapresa una riforma fiscale che aumentò la progressività delle imposte.

Ovviamente non si possono negare o dimenticare gli interventi di politica monetaria e di regolamentazione del settore bancario e finanziario. Ma, a una vulgata classica che vede in questo cambio di regole il segreto della ripartenza dell’economia americana e nell’enorme mole di fondi, di energie e di infrastrutture messe in campo dal settore pubblico una “scusa per regalare lavoro” all’immensa massa di disoccupati americani, opponiamo una lettura del new deal come di un gigantesco sforzo di riproduzione delle basi materiali dell’economia americana e alle nuove regolamentazioni in campo bancario e finanziario il compito di non far sperperare nuovamente la ricchezza che ci si proponeva di ri-creare.

Se ci si chiede perché la lettura ecologica che diamo della crisi del ’29 non è stata posta al centro né delle riflessioni del mondo politico e né della ricerca in campo accademico, la ragione è che:

la “gerarchia” tra le scienze, creata dalla politica (e dalle pressioni del mondo economico), ha dato più importanza ai settori delle scienze che determinano la distruzione della natura, rispetto ai settori delle scienze che permetterebbero di acquisire una conoscenza sistematica di tale distruzione. L’agricoltura ecologica, la biologia della conservazione, l’epidemiologia, l’ecologia storica, la geografia culturale, l’economia ecologica, l’economia politica e la teoria della critica sociale sono, insieme con altre, discipline scientifiche indispensabili per guarire la natura, e invece non hanno né fondi di ricerca né personale adeguato.”60

Questo ci porta al secondo punto e a dire che la crisi in oggetto fu una crisi ecologica causata dal Capitalismo e da quella che O’Connor ha definito la sua seconda contraddizione.

O’Connor difatti argomenta che se la prima contraddizione del capitalismo è la sovrapproduzione, la seconda è la sottoproduzione. Spinto dalla ricerca del profitto infatti, il capitalismo si fonda sull’espansione illimitata dei mercati, della mercificazione e della produzione. Questo stato di cose porta inevitabilmente alla sovrapproduzione (troppa offerta rispetto alla domanda) e alle recessioni economiche causate dalla disoccupazione.

La seconda contraddizione invece, che O’Connor definisce sottoproduzione e che noi abbiamo chiamato sovrasfruttamento, deriva dalle condizioni di produzione.61 La produzione capitalistica non è in grado di preservare e/o riprodurre il benessere sociale delle persone e dei territori, i valori comunitari, il patrimonio immobiliare, quello artistico-culturale, la biodiversità, ecc…62. Questesono grandi controindicazioni del capitalismo.

La contraddizione sta invece nel fatto che la produzione capitalistica non è in grado nemmeno di conservare e/o riprodurre le condizioni stesse della sua esistenza, cioè la base materiale della produzione, derivante dalla vitalità degli ecosistemi e dalla soddisfazione dei bisogni minimi dei lavoratori.63Con la sovrapproduzione la crisi viene dal lato della domanda, con la sottoproduzione dal lato dell’offerta.

Infine arriviamo al terzo punto e a presentare la figura di Ed Ricketts, biologo, ecologo e filosofo statunitense, chedal 1927 al 1948 diresse il Pacific Biological Laboratory, e che fece da polo d’aggregazione per scrittori, artisti e personalità di spicco dell’epoca in California. Tra queste “personalità di spicco” ci fu anche il “nostro” Steinbeck che grazie a Ricketts si avvicinò all’ecologia e che instaurò con Ed un profondo legame di stima e amicizia che portò il romanziere a fare del biologo l’ispirazione di più di un personaggio dei suoi romanzi64 e i due a pubblicare insieme il libro “Diario di bordo dal mare di Cortez65.

La vita di Ricketts (come la sua dipartita), si potrebbe definire senza dubbio avventurosa e la sua intelligenza, con un eufemismo, poliedrica. Infatti oltre ai lavori sulla fauna marina, Ricketts scrisse tre saggi filosofici che continuò ad elaborare nel corso degli anni. Il primo saggio per esempio espone il suo concetto di pensiero non-teleologico, un modo di guardare alle cose per ciò che effettivamente sono, senza preoccuparsi di cercare spiegazioni creazioniste per la loro esistenza.

Ovviamente però quello che di lui ci interessa è il suo pensiero ecologico. Ai tempi diRicketts infatti, il concetto di ecologia era praticamente appena nato. Concetti al giorno d’oggi comunemente conosciuti come habitat, nicchia ecologica, successione, rapporto predatore-preda e catena alimentare erano idee non ancora pienamente comprese ed accettate. Ricketts fu tra i pochi biologi marini a studiare gli organismi che vivono nella zona delle maree direttamente sul luogo e ad utilizzare un approccio quantitativo e comparativo.Between Pacific Tides66, la sua opera più celebre,per esempio non è un manuale esauriente sugli invertebrati marini, non è organizzato seguendo la tassonomia tradizionale, ma seguendo i diversi habitat.

Il primo tentativo di analisi ecologica quantitativa Rickettsperò lo fece negli articoli che pubblicò sul giornale di Monterey e che gli diedero una qualche notorietà. In questi articoli in cui analizzava la locale industria della pesca delle sardine, valutò l’ammontare annuale complessivo del pescato e descrisse il ciclo vitale delle sardine trattando anche il plancton di cui si nutrono e la temperatura dell’acqua, notando che il pescato andava diminuendo man mano che la pesca si faceva più intensiva. Quando l’industria della pesca andò in crisi, a Monterey si chiesero tutti dove fossero finite le sardine. “Sono dentro le scatolette!” scrisse Ricketts. Alla luce delle conoscenze attuali sembra essere stata una deduzione piuttosto semplice, ma il lavoro di Ricketts era uno dei primissimi esempi di ecologia quantitativa applicata allo sfruttamento delle risorse naturali.67

1 John Maynard Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, a cura di Terenzio Cozzi, Torino, UTET, 2006.

2 Jhon Kenneth Galbraight, Il Grande Crollo, Rizzoli, BUR, 2009.

3 Milton Friedman, Anna Jacobson Schwartz, A Monetary History of the United States, Princeton, Princeton University Press, 1965.

4 Daniel R. Fusfeld, Storia del Pensiero Economico Moderno, Verona, Mondadori, 1970.

5 Francis Scott Fitzgerald, Il Grande Gatsby, Milano, Dalai, 2011.

6 John Steinbeck, Furore, Milano, Bompiani, 1977.

7 Ibidem. p. 5.

8 Ib. pp. 5-6.

9 Ora, nemmeno un secolo dopo, a causa della gestione scriteriata delle sue acque e dei suoi terreni, lo stato di California è semidesertico e sta andando letteralmente a fuoco.

10 Da questo materiale prese spunto per scrivere l’opera teatrale “Of Mice and Men” (Uomini e topi).

11John Steinbeck, Furore. p. 34

12 Le legge dei rendimenti decrescenti, formulata la prima volta dall’economista David Ricardo su base empirica, postula che in un qualunque sistema produttivo ad ogni apporto di un qualsiasi fattore (terra, lavoro, capitale, macchine, ecc…), corrisponde un incremento di produzione via via calante.

13 La formulazione più semplice ed elegante di questa legge: “E’ impossibile realizzare una macchina termica(per macchina termica si può intendere qualunque entità in grado di compiere un lavoro: macchine, piante, animali, uomini, ecc…), il cui rendimento sia pari al 100%.”

14John Steinbeck, Furore. pp. 359-360

15 Ibidem. pp. 39-46

16https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_degli_Stati_Uniti_d%27America_(1918-1945)

17 Ibidem.

18Cfr. Charles P. Kindleberger, Robert Z. Aliber; Manias, Panics, and Crashes. A History of Financial Crises. Jhon Wiley & Sons, New Jersey, 2005.

19 Cfr. www.treccani.it/enciclopedia/stati-uniti-d-america-storia-degli_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/

20 Ibidem.

21 Ib.

22 Ib.

23

24

25 Peter Chapman; Storia della Lehman Brothers. 1844-2008. 21 editore, Palermo, 2020.

26 Ibidem.

27 Cfr. Ib.

28 Cit.Ib. p.42

29 Ib.

30 Ib.

31 Cit. Ib. p. 49

32 Cit. Ib. p. 51

33 Cfr. Ib.

34 Cit. Ib. 57

35 Cfr. Ib

36 Ib. p. 75

37 Cit. Ib. p. 75

38 Cit. Ib. p. 76-77

39 Cfr. Ib. p. 80

40 Cit. Ib.

41 Cfr. https://www.raiplay.it/programmi/sapiensunsolopianeta – “I divoratori del pianeta”; stagione 2020.

42 Per molti l’occasione di arricchirsi vendendo a prezzo rialzato alcol di contrabbando prodotto con materie prime scadenti e più economiche del mais.

43Cfr. Peter Chapman; Storia della Lehman Brothers. 1844-2008. p. 138.

44Interessante ricordare che il padre di Fidel era un grande proprietario terriero al “servizio” della United Fruit e che Guevara in Guatemala aveva lavorato come medico nelle piantagioni della stessa società, opponendosi poi al colpo di stato che rovesciò il governo guatemalteco nel ’54, e che la United Fruit aveva organizzato e finanziato. Cfr. Ibidem.

45 Ib. p.17

46 Che decretò il fallimento della banca e l’inizio della crisi economica che caratterizza il nostro presente.

47 Cfr. Peter Chapman; Storia della Lehman Brothers. 1844-2008. p.111-114.

48 Cit. https://it.qwe.wiki>wiki>Deforestation_in_the_United_State

49 Cit. Ibidem

50 Cfr. Dossier con dati e testimonianze. Numero 50-settembre 2019 Caritas Italiana.

51 Rimanendo in tema di letteratura americana ricordiamo il romanzo del 1900 “Il meraviglioso mago di Oz”, dello scrittore, drammaturgo, attore e avicoltore Lyman Frank Baum. Nel libro infatti si raccontano le avventure della bambina Dorothy nel magico Paese di Oz, dopo essere stata spazzata via da un tornado che colpì il Kansas.

52www.assinews.it>perchè-aumento-usa-tornado

53 Ibidem.

54 Cfr. James O’Connor,La seconda contraddizione del capitalismo: cause e conseguenze, Capitalismo Natura Socialismo n. 6/1992;.

55 Questa la traduzione letterale.

56https://it.m.wikipedia.org>newdeal

57 Ibidem

58 Ib.

59 Ib.

60 James O’Connor; Ecologia e tecnologia.

61 Cfr James O’Connor, La seconda contraddizione del capitalismo: cause e conseguenze, Capitalismo Natura Socialismo n. 6/1992;.

62 Ibidem.

63 Ib.

64 In “Furore” il personaggio in questione è il reverendo Casy.

65 Jhon Steinbeck; Diario di bordo dal mare di Cortez. Bompiani, 2019.

66 Edwards Ricketts, Jack Calvin; Between Pacific Tides. Stanford University Press, 1939.

67https://it.m.wikipedia.org/wiki/Edward_Ricketts

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